SOGNO DI MEGATTERA
Dovrei prendermi per mano
con dita affiorate da dentro,
per consolare la balbuzie dei passi,
fiochi per silenzio d’amore.
Aggiungo, come in greco,
un dito di sillaba in fondo
alla parola, per parlarti più da vicino.
La frase rinunciata riposa tra i cuscini.
tra fibre di lino, come un antico ricamo,
il nome del vuoto nel vuoto del nome,
cameo di assenza nella solitudine
inamidata delle lenzuola,
Ama il sonno, il dolore,
corteggia la notte delle cose,
dove memoria cede al sogno,
lo stesso abisso: mai illesa fu l’uscita.
Ci si dilegua per troppo sole
o troppo oscuro indugio.
In folla i desideri dissolti
come i cinquemila salmoni
fuggiti in massa per l’eclissi,
cronaca e destino, allineati
in comune sottrazione,
e la parola non salva.
Amore assente che non arresta il buio…
Per estremo tento il volo rovesciato,
modulando l’ultimo sonar
ma di te, Megattera smarrita nell’oltre,
incontro solo le tue lacrime azzurre,
prestate ai miei occhi.
Increspata aria dell’universo
scontri dei corpi oscuri,
pieghe ondose di memoria
nel tempo-spazio, titani assiali
a muovere flessuosi il vortice
elettrico nel cosmo
e noi, ai piedi del tutto
solo misere frane
e cadute d’amore senza suoni.
flutti anche noi
e gravità di memoria.
Poter sopravvivere all’assenza,
non sciogliersi in filamenti strinati
con la resistenza di catapulte astrali,
Generoso mistero stellare,
la vista del sole, riflesso radiale,
donata a noi per minuti sottratti al nulla.
Così è il mio pensiero di te,
agglutinato amore impresso
in retina d’anima,
invisibile cometa affusata
in fondo allo scrigno del respiro.
Resurrezione minore
tra microcosmi disorientati al vivere
una valle fluviale dell’origine
mi sorga nelle pause
del respiro congestionato
a suggerire Indolenza che placa.
Parsimonia geologica
tra minerali esausti,
il mio cuore di carbone,
le parole affumicate.
Il sobbalzo delle catastrofi
nell’imbuto dei giorni
estingue anche te,
rompe il continuum,
spezza anche i gridi,
sconvolge l’ecosistema del soffrire,
ti getta nel tempo profondo
tra ittiosauri irriconoscibili
come te
Tu povero uomo
risucchiato dalla specie,
minerale uniforme
senza altra vita
che la pietra disanimata,
automa annodato all’oscuro,
spiaggiato nell’atollo più deserto
dell’inesistente, nel cratere
vertiginoso del nulla.
Anthrope, anthrope!!
Cittadino del niente,
riscatta d’amore l’inesistenza nostra,
porta le rose dell’universo
nel giardino del sotto.
E per soffi fammi degna della luce,
Pioniera del sogno
in sperpero di desideri,
petali di sì ai piedi
del dio del prodigio.
Gabriella Cinti, nata a Jesi, italianista, grecista, poeta, scrittrice, saggista, performer in greco antico.
Libri: Poesia: Suite per la parola (Péquod, 2008), Euridice è Orfeo, (Achille e la Tartaruga, 2016), Madre del respiro, con la prefazione di Alberto Folin (Moretti e Vitali, 2017). La lingua del sorriso: poema da viaggio con il saggio introduttivo di Francesco Solitario (Prometheus edizioni, Milano 2020).
Saggi: Il canto di Saffo-Musicalità e pensiero mitico nei lirici greci, Moretti e Vitali, 2010. (prefazione di Angelo Tonelli) EMILIO VILLA e l’arte dell’uomo primordiale: estetica dell’origine, (Prefazione di Donato Di Poce) I Quaderni del Bardo editore, 2019, Ebook Amazon.
All’origine del divenire. Il labirinto dei Labirinti di Emilio Villa, (Prefazione di Gian Paolo Renello), Mimesis, 2021.
Sulla sua poesia, il saggio: Franco Manzoni, Femminea estasi. Sulla poetica di Gabriella Cinti, Algra editore, Catania, 2018.
Vincitrice di numerosi premi nazionali e internazionali, sue poesie sono presenti in diverse antologie poetiche. Presente con una cospicua selezione di poesie nella collettanea “Eleusi” a cura di Davide Susanetti, Padova University Press, 2021. Recensita su quotidiani nazionali e importanti riviste letterarie. Partecipa a diversi Festival Letterari e Artistici nonché a Rassegne Poetiche internazionali.
Tradotta in inglese e greco moderno.