CANTO DEL TU E DELL’IO
Sui volti l’occhio
coglie schegge luminose,
ma tutto subito il buio risucchia
e tu resti l’unica costante.
Ti colgo dentro ritratti
che subito ti negano, come le foto
in cui appari e scompari.
Mi ara profondi sgomenti
il mio ostinato persistere soggetto
d’un rutilante qui e ora di segni,
mentre tu ti offri nel riflesso dentro la corrente.
Non so la tua morte e la sua ora, fratello.
Forse morto sono io, confondo il dritto col rovescio.
Mi stai nel portafoglio come un santino
da giocare al posto del jolly
nelle mani meno fortunate,
contando sulla tua arte di prendere
il posto d’un altro per farne meglio la parte.
M’illudo possa tu liberarmi
dal dovere di pesare l’anima
sulla bilancia d’angelo,
fosse magari più grave
d’una povera piuma
e un giro di illusioni ancora mi toccasse
dentro questo debole corpo:
solo un estenuato strascicare
sugli sfondi della vita.
***
CANTO DEI PONTI
Crollano i ponti
tra levante e ponente.
Mando barchette di carta
con faccine sorridenti.
Indietro ritornano frammenti:
bambole di pezza senza un braccio,
o la testa.
Strane macchie di nafta
in forme grottesche.
Documenti colorati, ma sbiaditi.
Orologi rotti, fermati
su ore lontane di chissà quali giorni perduti.
Talvolta buste di plastica ben chiuse
con dentro un foglio
con una bella scrittura tutta curve e parabole,
quasi un tappeto ricamato.
Magari chiedi al profondo
la soluzione degli enigmi.
Chiedi se vita per vita vuole il sacro bagno
prima che faccia il suo lavoro
lo strato permeabile del cuore,
e del male che hai patito
del male del tempo
nulla resti, nemmeno un momento
nella dimenticanza.
Forse tutto questo chiedi con la tua bella scrittura tutta curve e parabole,
quasi un tappeto ricamato…
Ma io…non la capisco.
***
CONGEDO
Addio,
a domani.
Non qui.
Brilla una frattura sulla conchiglia,
voci di mare più non sussurra
ma feroci trappole tende:
-“pericolosissime!” dice il cartello -.
È un saldo di coscienza
su cui il dito passa e ripassa
come una dimenticanza.
Tornando a ieri ci troveremo.
Contaci.
Per ripercorrerti non basta
il ciglio perduto
sul palmo della mano.
Accostando all’orecchio il nautilo
tra le frequenze disturbate
il timbro di luce ritrovo.
Andrea Tavernati è nato a Pavia nel 1960.
Laureato in lettere e diplomato in archivistica, ha lavorato nella scuola pubblica e poi come creativo pubblicitario.
Cosa che fa tuttora.
E’ sposato e ha due figlie.
Malato di scrittura fin dall’adolescenza, a 16 anni ha cominciato a scrivere un romanzo fiume.
Quando, quattro anni dopo, l’ha concluso e riletto, ha deciso di sotterrarlo in giardino.
Ma il vizio è rimasto.
Nel tempo ha scritto poesie, racconti, altri progetti di romanzo.
Ogni tanto si sfoga in una rivista o sui poveri giurati di qualche concorso.
Qualcuno, sorprendentemente, l’ha anche vinto.
Tra i libri pubblicati occorre qui segnalare le sillogi “L’intima essenza. La via degli Haiku” (EEE, 2013) “Tamburo” ( Gattomerlino/Superstripes 2015), il romanzo “Per sole o per ombra” (Porto Seguro, 2021) e la curatela delle antologie annuali dei Poeti del Festival Europa in Versi (I quaderni del Bardo, 2018 e 2019)