IL RIPOSO
Caritatevoli come sono, le tenebre hanno una funzione da compiere: nascondere alla vista un istante, quello insostenibile.
(E. Jabés, “Il libro dell’ospitalità, pag 28)
Io che scrivo vicino a una finestra,
talvolta vedo il mare attraverso i vetri,
sposto la battigia a piacere.
Sono in pace col mondo fuori,
a mille chilometri dal litorale.
I
Chiedo un sogno lungo, da fare a occhi chiusi.
Un sogno comandato da fuori,
un supplemento di vita.
E una lingua nuova tessuta dall’alba
che possa descrivere il sogno,
così che diventi una forma esistente,
da poterci star sopra.
E nessuno che dica “qui non c’è nulla”.
II
Vivono di cose mute,
di storie riposte nei piani più alti della mente.
Cercano il potere del sonno,
un’immensa garza bianca
che curi la memoria.
Il ghiaccio sulla fronte
poiché la febbre consuma.
Si può sparire nel vuoto di un letto.
III
Ci vuole un canto nuovo per l’inverno che verrà,
che esalti tutto questo sonno
e il trattenersi dei fiori.
Un vento che porti con sé dei semi.
Il lamento del lupo alle finestre
quando rincasare è solo un nocciolo di legno
e i gesti si fanno bruni
e stanno tutti tra le mura.
IV
Il canto che proviene dal nostro istituto
fa di questo posto una gola sacra.
La musica perpetua dall’alto
ci unisce come sorelle,
batte il tempo per i neurotrasmettitori.
Tiene lontani i precipizi
e le attese.
Abbiamo una mente bianca, un nervo ottico lento,
un presente che sconfina.
E un riposo dolce, finalmente.
V
Sentire come l’anima arriva ai bordi del corpo
e dolcemente preme per un’esalazione.
All’alba si presentano tali accadimenti
e noi li confondiamo col pallore del cielo.
Poi la luce irrompe nelle fronde,
espande la bellezza fino al bosco.
E ci alziamo del tutto ricomposti
come se fragilità non fosse ogni nostra vena
e l’intero disegno del giorno.
Annalisa Ciampalini