Non sono traducibili le distanze, come non
lo sono le poesie e gli sguardi, tranne quelli
più arrendevoli, quelli che sanno attendere
davanti alla porta o alla finestra, già colma
di orizzonti inarrivabili e luce adagiata
all’ultimo tramonto.
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Ogni giorno compiamo
piccoli esercizi di sparizione
quando abbracciamo un altro
e quando ci abbracciamo soli
abitiamo il mondo ad occhi chiusi
Scontiamo sguardi
mettendo specchi alle finestre
catechizziamo desideri di prossimità
quando la notte ci svegliamo
con l’urlo di Munch
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Un fantasma che prega
non è una ferita per gli occhi
fa necessità di sguardo
ci rende testimoni di un’esistenza larga
concede all’ombra di farsi candida
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D’autunno è facile perdersi in un bosco di betulle,
quando si vive a certe latitudini o si è appassionati di romanzi russi.
Nel giardino della casa dove abitavo da bambino
c’erano tre alberi dalla corteccia bianca.
Erano stati piantati dai miei genitori poco dopo la mia nascita.
Sulla tomba di mio padre c’è ancora una betulla nana,
l’unica a resistere e ad aspettarmi di anno in anno,
anche adesso che si approssima l’inverno
e di foglie non ce ne sono già più.
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Gli sguardi si vestono
di poco cielo
riempiono tutto
con il loro peso
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