“E’ possibile condurre simultaneamente l’attività di poeta e quella di individuo avvolto nel tessuto delle relazioni umane ?” , si chiede e chiede ai suoi lettori Tzvetan Todorov, che aggiunge ” o i due rami del fiume devono restare nettamente separati, dato che uno solo può essere privilegiato?” L’autore cita Rilke ma la questione resta attuale. Franco Loi, che riconosce in Dostoevskij un romanziere-poeta, ricorda, in una recente intervista, di aver scritto alcune sue raccolte di poesie (Strolegh e L’ angel) in periodi di assoluta solitudine.
Cosa ne pensate? Qual è la vostra esperienza al riguardo?
Il poeta si rende utile quando dà prova di libertà. Essere poeti equivale a essere liberi. Ma esistono davvero persone libere, voglio dire, anche psicologicamente libere? No, in una maniera o nell’altra siamo tutti condizionati. Davvero poche sono le persone libere, e tra queste pochissimi sono i poeti. Ma tentare di scrivere poesia è già di per sé tentare di essere liberi: ci si esercita alla libertà, si impara a conoscerla e praticarla. Se scrivere poesia è intraprendere un percorso di vita e conoscenza, allora si diventa anche socialmente utili. Ma se parlo solo degli affari miei, “io e l’amor mio, io e il mio babbo, ho sonno, ho fame, ecc. ” perché agli altri dovrebbe interessare? Ché, non le hanno anche gli altri le loro storie?