La dimora dello sguardo, Fara editore, 2018

Pubblicazione del libro “La dimora dello sguardo” (Fara editore, aprile 2018)
raccolta poetica I classificata al concorso narrapoetando

http://www.faraeditore.it/vademecum/12-Dimorasguardo.html

 

Note critiche dei giurati:

Eccellente esercizio poetico che riflette sulla possibilità della parola di farsi scena – e quindi luogo, e quindi dimora – di uno sguardo che è più mano tesa alla ricerca di un contatto che distanza insuperabile. Esercizio corporale e umilissimo contro la pretesa della poesia di rendere presente l’assente
a tutti i costi.
(Michele Bordoni)

Una raccolta che s’interroga sulla parola e sullo sguardo, su quei luoghi della memoria che “si spostano dentro di noi”. Ne “L’indolenza dei contorni” ho trovato forse una chiave di lettura di queste poesie: un vagare nel Tempo senza “smarrire il mondo”.
(Giovanna Iorio)

Protagonista di questa raccolta è il mondo accolto come un luogo in cui mettere alla prova la propria etica, in un gioco continuo di adulti che possa – rinfrancato dal ricordo di una voce senza significato, voce materna, voce narrante – ritrovare i contorni alle cose. Se il mondo è prima di tutto luogo del gioco e della fiaba, dovere del poeta è riportare l’attenzione sulle cornici
che sono, come le parole della poesia, sostegno ad ogni altra cosa, che sia nuvola, ricordo, sentiero o pianto. Il confine è la misura dello sguardo del poeta che accoglie la desolata meraviglia che sempre accade per un passaggio sbagliato di palla.
(Alberto Trentin)

La Forma, come collocazione di sé, soggetto, nel paesaggio complessivo. I luoghi con la loro realtà piena e oggettiva. Lo sguardo, che “attraverso una crepa si fa largo” diviene una chiave possibile per decifrarli e collocarsi. Una frontiera, confine, di cui la Parola “sgretola fragoroso il silenzio”.
In questi versi rinveniamo l’origine della Poesia intesa come lingua nuova capace di attraversare le percezioni. Il verso è sempre attento al rapporto suono/senso, di essenziale economia espressiva, portando un
ordine armonico nella scrittura.
(Valeria Raimondi)

 

Segnalazione libraria di Gian Ruggero Manzoni (14/05/2018)

– LA DIMORA DELLO SGUARDO di Giancarlo Stoccoro, Fara Editore. Stoccoro, da buon psichiatra, in questa sua raccolta poetica (Opera Prima Classificata al concorso “narrapoetando” 2018) a mio avviso tenta di catturare, attraverso la ricostruzione di uno scenario che pare non veda alcuna soluzione di continuità nella storia del nostro esserci, un movimento che infine possa condurci a una meta; quel fugace andare, dovuto a un’irrevocabilità dell’istante, che tanto assillò anche un grande come fu Rilke. Stoccoro sa che quel lampo non si lascerà mai catturare da un pensiero discorsivo, bensì, forse, da un dire che sia capace di intenderne la transitorietà, come autentico perdurare; da una voce che sia in grado, insomma, di porsi come luogo utopico, fra un mondo che svanisce e un mondo che, dalle sue maglie disannodate, poi riesce a riprodursi e a rinascere. La sua, quindi, non è poesia didascalica, poesia composta, bensì canto emesso al fine di immobilizzare un quid che pare impossibile da fermarsi, pena la sua riduzione a scoria morta o a fantasma esistenziale, quando appunto si cade (come nell’oggi) nel baratro in cui tutto il pensabile pare sia già stato pensato e che, nell’oltre, non si annidi più alcunché. In questo senso, grazie alla sua forza, la scrittura di Stoccoro lascia emergere da un fondo oscuro un barbaglio che, via via, diviene emanazione sempre più evidente, in particolare quando il linguaggio, inteso come sguardo totale e divorante, scarta l’abbellimento o la decorazione per divenire carne e sangue.

 

La recensione di Vincenzo D’Alessio :
https://farapoesia.blogspot.com/2018/07/il-solco-dove-lo-sguardo-rimanda-il-suo.html

La raccolta di versi che reca il titolo: La dimora dello sguardo, del poeta Giancarlo Stoccoro, è risultata vincitrice del Concorso nazionale Narrapoetando 2018, indetto annualmente dalla Casa Editrice Fara di Rimini.
In questa occasione è utile ricordare i nomi dei Giurati che hanno votato la raccolta di cui parliamo: Michele Bordoni, Giovanna Iorio, Alberto Trentin e Valeria Raimondi. Ognuno di essi si è fatto carico di analizzare forma, contenuti, attualità e permanenza nel tempo dei testi inseriti nella raccolta, a seconda della propria sensibilità critica.
Il pensiero critico di Valeria Raimondi l’ho sentito più vicino al mio, nella lettura della raccolta di Stoccoro, dove scrive: “La Forma, come collocazione di sé, soggetto, nel paesaggio complessivo. (…) Poesia intesa come lingua nuova capace di attraversare le percezioni.” (pag. 8).
La dimora raccontata in versi dal Nostro ha richiamato alla mente La casa dei doganieri del Nobel Montale dove i versi recitano: “Tu non ricordi la casa dei doganieri / (…) in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri / e vi sostò irrequieto.”
Nei versi la parola “luoghi” compare in tutta la raccolta a indicare il solco dove lo sguardo rimanda il suo percorso, il nostro percorso esistenziale, il “destino di anime di pianura”, guidate dallo sguardo interiore impercettibile agli occhi degli uomini.
L’altrove che descrive il Nostro somiglia molto al “luogo” cantato dal poeta romantico Friedrich Hölderlin: il perturbante, l’impenetrabile.
Ritroviamo in questi versi il senso: “(…) Fosse facile stringersi / l’ombra addosso / ignorare l’alba / davanti a sé” (pag. 16).
La poesia di Stoccoro può considerarsi essenziale e romantica al tempo stesso: nuova per la ricerca che prende l’abbrivo dalla lezione del Novecento sulla scarnificazione della “parola”; romantica per il ricorso al “nome” delle persone, dei luoghi, degli oggetti, fonti dell’ispirazione espressiva: “Abitare la frase / consentendo alla parola / di consumare l’oggetto / fino a custodirne l’ombra / al di là del giorno” (pag. 77: L’indolenza dei contorni).
Lo sguardo poetico è alla ricerca della sua dimora.
L’invito rivolto al lettore è di condivisione nell’intraprendere il viaggio che porta al completamento di noi stessi: “Ho scritto tanto / per non lasciare / senza immagini / il desiderio” (pag. 64).
Vorrei congiungere i versi della raccolta La dimora dello sguardo ai versi della raccolta del poeta Luigi Fontanella: Ceres (Caramanica Editore 1996), dove l’epigrafe recita: “Difficilmente il suo luogo / abbandona ciò che abita vicino all’origine.” (Hölderlin): “Vorrei toccare una poesia / che solo sta tersa e leggera / (…) unica cosa casa di vetro / illuminata dal giorno / che si sposti volando / su ogni anfratto del mondo. / Vorrei che il verso diventi universo / e che ogni cosa ritrovi il suo posto.”

La recensione di Lucia Papaleo:

https://farapoesia.blogspot.com/2019/02/raccontami-cio-che-sai-la-poesia-di.html?q=lucia+papaleo

Aspettando Prove di arrendevolezza di Giancarlo Stoccoro, in imminente uscita per Oèdipus, riassaporiamo La dimora dello sguardo, penultima raccolta di questo poeta e psichiatra milanese che fa della poesia uno strumento infallibile di vita, di cura, di relazioni e di conoscenza.
Egli ama dire che “le parole della poesia non dovrebbero mai essere troppo ospitali”, che la poesia dovrebbe “accogliere qualche domanda ma non rispondere a tutte”, e lascia trasparire quanto osmotico e sottile sia il confine tra poesia e mente, tra dimora e aria.
Nella Dimora si scorge la struttura portante di ogni altro suo scritto, sia precedente che successivo; i temi che lo appassionano e che tende a sempre a sviluppare, a perfezionare, frutto di instancabile osservazione del contesto che lo circonda; la sua tendenza a stabilire legami con ogni cosa che popola i suoi dintorni. I suoi temi sono luoghi, assenze, alberi, distanze.
Raccontami ciò che sai… ed è subito dialogo tra il poeta e il suo lettore; tra il poeta che non è il detentore della musa, che piuttosto gli viene incontro da fuori, dal lettore che racconta e legge ed è la stessa cosa.
Stoccoro va al di là della scrittura, legge chi lo legge. È dei poeti migliori questa capacità ed è raro imbattervisi. Si resta impigliati nelle sue poesie perché lui ti chiama per nome e tu resti.
Allo scrittore accade di lasciare l’opera a metà, in preda al solipsismo della sua scrittura, finché non arriva il tassello che la completa. E il tassello mancate è il lettore, con la sua personale traduzione.
È questo il dialogo a cui mira Giancarlo Stoccoro, e che arriva quando vuole; l’autore non può farci niente, può solo aspettare e scrutare. Lui è la dimora, lui il fortino da cui parte lo sguardo amorevole che avvince.
Si può anche immaginare che i versi siano scaturiti da eventi molto personali, da amori iniziati e interrotti – meglio se sul più bello – in modo che possa essere il bello la materia da stendere sui fogli.
E se chi entra in possesso di quei fogli si dimentica del poeta e vede scorrergli davanti la vita – la propria o una vita inventata – allora è poesia semplice come il tempo che si stende sulla pelle e sulle cose, che annulla la distanza (parola ricorrente, forse per prudenza e scaramanzia, per non farsi catturare e troppo irretire, per riuscire a mantenere quella giusta).
Si inizia a leggere ostentando distanze, sicuri che non si resterà contaminati, che non si crederà alle ingenuità di un poeta… e invece ci si entra fino al collo, specie se la lettura conduce nei luoghi (altro topos ricorrente) che interrogano ciascuno ad ogni istante, (ogni luogo che raggiungo è un confine/che non smette di interrogare il mondo).
La poesia ci insegue, e noi ci lasciamo raggiungere, prendiamo dimora in ogni immagine, in ogni verso. Parole ci chiamano/assecondano la nostra voce/sembrano portarla chissà dove.
Sono testi brevi, non se ne perde il filo, non ci si perde tra le righe; vi si entra per poi rimanere nel loro senso profondo e semplice. Si rimane dentro la stessa ansia, lo stesso stupore, lo stesso desiderio. A volte m’accorgo in nota/che ti tengo addosso/con un’approssimazione che fa male
La frontiera labile dell’abbraccio/quel taglio obliquo/impegnato a scoperchiare il mondo. Versi che si nutrono anche di visioni oniriche, considerata la passione e l’interesse scientifico dell’Autore per il sogno. Il più intimo atto dell’individuo, il più solitario, diventa legame tra individui; raccontare un sogno crea un confine, una pelle, che ingloba le persone più diverse che si trovano nello stesso spazio-tempo-compito scoprendo che il sogno è uno solo, che ognuno declina con immagini diverse e proprie, basta solo condividere uno stesso evento che genera emozioni.
La dimora dello sguardo – dentro cui si stabiliscono Lettore ed Autore – diventa il setting di un gioco tra sogno e poesia. Ed ecco la realtà/trasloca/alla fine di un giorno/che ci ha ospitato come tanti altri.
Mantova 3 febbraio 2019 Lucia Papaleo

https://farapoesia.blogspot.com/2021/05/parola-che-si-nutre-dombre-di-sogni-di.html

“I giorni ci allontanano \ e la paura allunga le distanze \ Lo scarto è nel nome \ la parola che si tiene cucite addosso \ tutte le sillabe”.
Questo paradigmatico testo di Giancarlo Stoccoro, contenuto all’interno della silloge La dimora dello sguardo, ci mostra – in modo struggente, direi – la fisionomia del suo personale approccio alla parola poetica: la parola che si nutre d’ombre, di sogni, di distanze notturne, così da scalzare le coordinate d’ingombranti spazi-confine e tempi-ore; quella che, protendendo il suo sguardo “verticale”, intimamente ci penetra.
La raccolta è divisa in due parti: una introduttiva, eponima, e l’altra, più estesa, denominata “L’indolenza dei contorni”. La fluida lettura delle ottantadue miniature si alimenta, in special modo, della loro concatenazione, capace d’affratellarle in un legame di sangue, come fossero perline d’un girocollo che, una volta allacciato, instancabilmente ci si rigiri addosso. Le lapidarie composizioni si presentano infatti, al pari d’una performance musicale di variazioni su tema, come frammenti d’un unico blocco tematico, scomposto in scaglie da disseminare sul corteo dei fogli, in un infaticabile ricircolo scandito da poche, mirate parole chiave (“sguardo”, “parola”, “notte”, “ombra”, “sogno”, “distanza”, “silenzio”, “buio”, “nome”, “sillaba”, “luogo”, tra le più ricorrenti).
La lucida volontà sottrattiva dell’autore tende a scarnificare il più possibile la materia poetica per farne emergere densi nuclei espressivi, generando un marcato ermetismo, spesso a un passo dalla sublime e, assieme, terrificante perfezione della pagina bianca. Tra i microtesti, accanto alle fulminee sentenze poetiche, liricamente emergono numerosi squarci, sensibilmente più distesi, di solitudini urbane e tristezze “lente”, risacche d’abbandono e teneri frammenti quotidiani; su tutto gravitando, in prolungati bagliori di lunare seduzione, la luminosità del sogno, la luce dell’ombra.

Alessandro Lanucara, 4 maggio 2021

è finalista al Premio Guido Gozzano 2018 e al Premio Internazionale Città di Como 2018

Ha vinto il secondo posto per la poesia inedita al Premio Internazionale Energia per la vita 2018
http://energiaperlavita.weebly.com/verbale-2018.html#

https://www.facebook.com/ladimoradellosguardo/videos/341005316633250/

è tra i libri di poesia selezionati al Premio Bologna in lettere 2019:

Premio Bologna in Lettere 2019 – Sezione A (Opere edite)

e finalista al Premio Alda Merini di Brunate 2019:

https://farapoesia.blogspot.com/2019/02/la-dimora-dello-sguardo-finalista-al.html?fbclid=IwAR2JG2z_UmtSKRpceh_89yd0_pawlE5AejkJv0Bl3E35snv8ijpn6N09qTU

 

Alcune poesie tratte dalla silloge

 

Per quanto stia fermo
lo sguardo dà impronta di sé
quando sorride e allarga il braccio
accarezza le montagne e confonde
il nostro destino di anime di pianura

————–

I luoghi comuni le serate senza dedica
un quadro di Hopper sulla parete bianca

Se solo abbandoni le tracce
scopri lo sguardo notturno del cielo
mentre la vita danza nella stanza accesa

Una lenta processione di alberi
carichi d’ombra
ammicca davanti alla finestra

Ti fai ramo per una foglia
che sola corre via

————–

I luoghi si spostano dentro di noi
nemmeno concedono un’ora di tregua
per quanto tu fugga gli appetiti del mondo

Qui adesso rimane carne di contrabbando
e la luna che rovina ignara sugli occhi

————–

Consentire alla notte di dubitare ancora
strappando qualche sillaba alle frasi fatte

Sdraiarsi mollemente quando l’orizzonte
sembra nascondersi dietro l’ultima curva

Non smettere mai di scrivere con ignota
destinazione e più smisurata abnegazione

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