Per Manzoni la parola è vera quando corrisponde alla lingua in uso, viceversa per Leopardi lo è solo quando è “vaga”, “indefinita”, “fuori dall’uso”.
La voce di Ungaretti ha ancora un effetto scuotente: “abbiamo da imparare che la poesia è fatta di parole-luce, voglio dire di parole che entrano in noi (…) oserei dire per un effetto di miracolo, e fanno in noi la luce e ci mutano”. E ancora: “Quando la poesia s’accontenta di nominare un oggetto, essa non ci redime. Il sottile involucro del vocabolo cede alla pressione che designa; com’è solito svanisce appena pronunziato, e ci abbandona alla presenza da cui doveva difenderci”.
Uno sguardo alle parole
La parola resta vera perché la parola è nel mutamento del tempo, la parola è in movimento. La lingua pensiero con la quale ci esprimiamo quotidianamente si confà all’attualizzazione di contesti e scenografie politiche e sociali. La parola poetica pesca dall’origine e pur utilizzando la lingua corrente si rifà alla meticolosità della fonte prima creatrice di suono, evocazione, mantra e ritorna al significato primo del dire, che si stacca dalla comunicazione tradizionale per diventare messaggero di un qualcosa che abbiamo perduto, forse dimenticato, forse confuso nel passare delle vite. La parola poetica non subisce il naufragio di una lingua perché arriva sempre al centro dell’essenza, muta nell’immutabilità perché resti sempre viva.